La vita, è un bosco Ogni albero un’esperienza Gli occhi spalancati poi socchiusi La coscienza messa a riposo
Il bosco, è un fiore sfogli i petali ora vivi ora muori poi una guerra gente comune giù per terra
Il fiore, è un amore bello come il sole quando inizia brutto come la nebbia quando finisce secche le radici, se non ricordi più
Senza sogni senza visioni senza ricordi combatteremo per unire i passi recuperare la voce insieme alla manina che ora si apre ora si chiude bebè con gli occhi nel futuro
In discussione oggi, alle 15, alla biblioteca civica Primo Levi , di Avigliana. nel Circolo Lettori di Avigliana
Un uomo e un bambino, padre e figlio, senza nome. Spingono un carrello, pieno del poco che è rimasto, lungo una strada americana. La fine del viaggio è invisibile. Circa dieci anni prima il mondo è stato distrutto da un’apocalisse nucleare che lo ha trasformato in un luogo buio, freddo, senza vita, abitato da bande di disperati e predoni. Non c’è storia e non c’è futuro. Mentre i due cercano invano più calore spostandosi verso sud, il padre racconta la propria vita al figlio. Ricorda la moglie (che decise di suicidarsi piuttosto che cadere vittima degli orrori successivi all’olocausto nucleare) e la nascita del bambino, avvenuta proprio durante la guerra. Tutti i loro averi sono nel carrello, il cibo è poco e devono periodicamente avventurarsi tra le macerie a cercare qualcosa da mangiare. Visitano la casa d’infanzia del padre ed esplorano un supermarket abbandonato in cui il figlio beve per la prima volta un lattina di cola. Quando incrociano una carovana di predoni l’uomo è costretto a ucciderne uno che aveva attentato alla vita del bambino. Dopo molte tribolazioni arrivano al mare; ma è ormai una distesa d’acqua grigia, senza neppure l’odore salmastro, e la temperatura non è affatto più mite. Raccolgono qualche oggetto da una nave abbandonata e continuano il viaggio verso sud, verso una salvezza possibile.
Un libro bellissimo, scabro, doloroso, poetico. Uno dei pochi dove un padre si prende cura del figlio con delicatezza e apprensione.
Dove far sopravvivere il figlio equivale a poter sperare nel Mondo.
Non è facile leggere un libro di tale intensità emotiva, perchè semina parole che germogliano in ciascuno di noi provocando domande
La prima pelle, bella urlo che cerca l’aria annuncio al mondo che per quanto sia vasto un piccolo posto adesso è il mio
La seconda pelle, giovane quella dei giochi con gli amici che non è mai tardi, per strada dormire il mattino, le scarpe da ginnastica
La terza pelle, è tesa la necessità del viaggio, di là nella barca nel mare nel buio forse c’è l’adulto che divento forse la paura degli altri, forse la morte come Dio vuole
Adesso, quella che vedi, è mia è il corpo che abito, i pochi vestiti che ho con me, e la borsa e le scarpe e il mio cellulare con la voce lontana di mia madre e dei miei fratelli
Faresti adesso, tu un viaggio dentro la mia pelle ?
Una donna ricca, senza più soldi, senza più tempo, con i capelli corti sotto un berretto, nella borsa un quaderno che nessuno avrebbe mai letto. Un uomo vecchio, senza più soldi, senza più tempo, ormai privo di capelli, con una borsa piena di attrezzi.
L’uomo disse: Oggi, pescherò molto. Il cielo è basso, le correnti sono buone. La donna disse: Questo cielo e questo mare vorrei dipingerli come un’unica notte.
Chi fu per primo a parlare della barca, chi fu per primo a parlare della risacca? Gli stivali dell’uomo,rovinati in più punti, facevano temere cadute improvvise per quelle gambe prive ormai delle corse di gioventù.
La donna a piedi nudi guardava il cielo il mare l’uomo e la barca, abbassava il cappello e canticchiava una canzone, come se nessuno la sentisse, come se fosse sola, come se cercasse un’occasione di vento. Ogni tanto guardava di nascosto il vecchio, che preparava la barca, con le sue cerimonie degli addii.
Mangiamo qualcosa, disse il vecchio. Va bene, rispose la donna. Ripongo le canne, stasera butterò le reti se la barca tiene, disse il vecchio. Quali reti, se ieri non le avevi? Ieri era ieri, oggi è oggi. Anche tu prima non c’eri, e domani io non ci sarò, ma tu sarai qui e forse porterai le canne, uscirai in barca e butterai la rete.
La donna non disse niente. Pensò se le rose si potevano piantare nell’acqua, se l’uva raccogliere nelle vigne sugli scogli, se si potevano bagnare i pesci nell’ombra della sera. Sperare che quel tramonto non lasciasse sogni, nell’incendio di quella notte. Un po’ scura, un po’ feroce, un po’ innocente.
da “In villa nel cartone” Lino Di Gianni ilmiolibro.it 2010
Di sotto le porte passarono i soldatini tra le mani si fece polvere con le rose in petali secchi tutte le parole lette sul giornale furono imparate a memoria e ripetute come per andare al supermercato.
La luce era attesa dietro gli occhi di un cane attento al minimo cambio di vento di passo di umore di posizione la signora che andava avanti e indietro disse tre parole per chiedere soldi poi senza aspettare risposta si perse a contare gli spiccioli in tasca per un biglietto d treno che non avrebbe comprato
Hai mangiato? Hai dormito? E del sogno di stanotte che farai, lo sai che necessita di fare i suoi bisogni più volte nel giorno.
Hai detto, metti la speranza nel cassetto e riponila per migliori giorni I prati intessuti di farfalle e i canti erranti di nuovi uccelli mi han distolto piano
Hai detto, verranno genti con nuovi segreti tu interroga gli occhi di chi porta doni con la sua sola presenza Metti nel mare della curiosità pianticelle accoglienti e conchiglie e sorrisi calmi, in quantità
Mi piace usare gli ultimi attimi di notte come fossero briciole di un lauto pasto
Mi piace aspettare che il sole cerchi in tasca le cose che restano da fare
la paura, qualche volta è una moneta indecisa su quale faccia mostrare