ne accadono, di stranezze
attorno a una lingua che,
si vuole, forse,
imparare
pensa a chi comincia
da adulto, con tutte
le difese,
coi suoi vestiti
con il suo modo di essere
e deve mettersi lì,
davanti a tutti,
a venti, trenta o quarant’anni
e far vedere che non è andata
a scuola, nel suo paese
se poi, oltre la parola scritta
non sai ancora nemmeno parlare
nessuna altra lingua, oltre
quella del tuo paese,
è come avere un muro che,
a 1000 chilometri di distanza
non ti fa mai uscire
ieri è arrivato un sms, a lei
mi ha chiesto di leggerlo
diceva: io ti penso, e tu?
Lei lottava contro il tempo
per saper scrivere la risposta
con un’altra donna, nel corso
discutevamo della tragedia
delle armi nel suo paese,
e lei mi diceva che, finora,
aveva un blocco ad imparare
l’italiano
perché aveva paura di rimanere,
per sempre,
qui
quando le ho detto
che imparare una lingua
è come saper suonare
uno strumento,
cioè una cosa bella che
non si compra con i soldi,
ha sorriso e si è messa
a studiare e mi ha raccontato
dei suoi due gatti
e dei figli che hanno scelto
i loro nomi
18-12- 2012 lino di gianni
Da tre mesi lavoro in questa realtà e quello che mi spiazza, mi imbarazza è sentirmi dire spesso “grazie”. L’imbarazzo forse nasce da una colpa atavica che l’occidente si porta dentro, lo stesso imbarazzo che ho sentito ieri durante una lezione di storia mentre una corsista di colore, nel corso di una discussione sul colonialismo, mi ha chiesto “professore chi sono i pellerossa”, dopo di che ha detto “ripensando a questo periodo storico ti viene una rabbia…!”. Cosa rispondere a questa rabbia? Cosa dire? Chiedere scusa? A volte penso che la “razza” inferiore siamo noi uomini di pelle bianca di fronte all’umanità di questi immigrati di varia etnia, sì, forse loro sono il residuo di quella umanità che abbiamo perduto sommersi da questo capitalismo selvaggio in cui ci ritroviamo a vivere.
in quale ctp sei finito?
Piossasco.